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Agnese R. Amaduri

Frau Dott.ssa

Fellow des Ermete Fellowships des Italienzentrums (2023)
Italienzentrum
RomII

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Keplerstr. 17
70174 Stuttgart

Fachgebiet

Rinascimento italiano (Grazzini, Varchi)

Riforma protestante

La poesia delle donne italiane del Cinquecento (Stampa, Colonna)

Primo Novecento

Lehrtätigkeit an der Universität Stuttgart

 

Le donne poetesse nel Rinascimento italiano

Nel panorama letterario italiano la prima metà del Cinquecento è segnata dalla diffusione del modello lirico petrarchesco; una tendenza testimoniata dalle Prose della volgar lingua del Bembo, – uscite dalle stamperie veneziane nel 1525 – che indicavano in Petrarca il modello assoluto di riferimento per la poesia, e dalle numerose edizioni del Canzoniere pubblicate nel primo ventennio del secolo.

Contribuirono alla fortuna di questo genere personalità in precedenza tagliate fuori dai circoli letterari e che adesso, invece, figuravano nelle numerose antologie date alle stampe già dagli anni Trenta in poi. Un contributo decisivo a tale inclinazione all’accoglienza fu garantito, come evidenziato da Dionisotti (Geografia e storia della letteratura italiana, 1967), dalla vasta apertura linguistica di quegli anni, la stessa che consentì anche alle donne di trovare una nuova sistemazione nel panorama culturale, imponendo la propria scrittura non più come sporadico esercizio femminile delle lettere ma come fenomeno vero e proprio di conquista di uno spazio letterario. Di là dalle considerazioni che riguardano la qualità di tanta parte della produzione lirica cinquecentesca resta, dunque, la funzione positiva che il genere mostrò di avere per la sua potenzialità inclusiva, per la sua capacità di dar voce e strumenti anche a categorie prima tenute ai margini della produzione in versi, come anche in prosa. Attraverso l’accettazione di un codice linguistico e retorico e la sua riproduzione era, insomma, possibile inserirsi nei cenacoli che si riunivano nelle abitazioni urbane dei mecenati, nelle corti e nelle accademie, o contribuire alle raccolte di liriche che gli editori approntavano nei principali centri della penisola.

La connotazione positiva che il petrarchismo ebbe per le poetesse non è condivisa da tutti gli studiosi, anzi non sono mancate le riflessioni critiche che hanno piuttosto evidenziato come i poeti, aderendo a quel codice avessero spersonalizzato la donna, rendendola puro feticcio all’interno di un discorso tutto maschile. Da ciò sarebbe derivata la difficoltà, per le scrittrici che si cimentarono nella lirica petrarchista, di seguire una norma così nettamente orientata in senso maschile e così svilente per la figura femminile. Tale linea interpretativa ha coinvolto soprattutto gli studiosi anglo-americani, influenzati in particolare da un fortunato saggio di Nancy Vickers (Diana Described: Scattered Woman and Scattered Rhyme, 1982), e ha dato avvio a un’ampia riflessione sul silenzio implicitamente imposto alle donne dal modello di Petrarca, che avrebbe trovato riflesso nelle metafore delle mitiche figure di Eco e Filomela.

Eppure, siffatta tradizione critica mortifica la capacità mostrata dalle donne, in primo luogo da Vittoria Colonna, di manipolare il modello e imporre una nuova norma che nascesse dal fertile humus del Canzoniere ma che adattasse il materiale disponibile alle proprie esigenze comunicative. La Colonna si è di certo imposta come punto di riferimento per le poetesse, soprattutto nell’area centro meridionale della penisola, andando a configurarsi come exemplum di reinvenzione del dettato petrarchesco parallela al magistero del Bembo.

Prima settimana

Una prima parte dei seminari (2 ore) sarà dedicata a inquadrare storicamente il periodo in cui si colloca la scrittura delle poetesse prese in esame, ricordando in modo sintetico, gli avvenimenti fondamentali che hanno segnato la storia della penisola italiana in quei decenni convulsi, a causa dello scontro tra Francia

e Spagna per il controllo diretto o indiretto dei territori italiani. Brevemente accenneremo anche alla frattura religiosa europea causata dalla Riforma protestante che ebbe dirette ripercussioni anche in Italia e le cui tracce sono ravvisabili nella lirica femminile che andremo a trattare (soprattutto in Vittoria Colonna ma anche in Gaspara Stampa). Quindi ripercorreremo le principali tendenze della critica inerenti alla lirica delle donne: dalla lettura tardo-romantica di De Sanctis al revisionismo positivista del primo Novecento, fino alla critica femminista degli anni Settanta e Ottanta del Novecento e ai Gender Studies.

Le restanti due ore saranno dedicate a un breve profilo del petrarchismo del Cinquecento e quindi cominceremo ad affrontare le Rime di Vittoria Colonna, intraprendendo un percorso articolato tra rime amorose e rime spirituali.

Seconda settimana

Ci soffermeremo sulle Rime di Vittoria Colonna. Sottolineeremo sia come alcuni paradigmi della sua poetica restino invariati nel passaggio dalle Rime amorose alle Rime spirituali, sia come cambi, invece, nel passaggio da una tematica all’altra, la percezione dell’io poetico e la strutturazione della personalità intellettuale della donna nel rapporto con la società e con la Storia.

Terza settimana

Un paio di ore saranno dedicate a Isabella Morra, il cui esiguo canzoniere può comunque essere considerato rappresentativo sia dell’influenza che la Colonna ebbe sulla lirica del tempo, sia della varietà di possibili declinazioni del petrarchismo cinquecentesco. Analizzeremo in particolare le due canzoni spirituali di Morra, una dedicata a Cristo e l’altra alla Vergine. Due ore saranno dedicate all’introduzione bio-bibliografica di Gaspara Stampa e all’inquadramento dei problemi filologici relativi all’editio princeps delle sue Rime.

Quarta settimana

Sarà interamente dedicata a Gaspara Stampa, considerata da molti la maggiore poetessa del Cinquecento. Una poetica radicalmente diversa da quella della Colonna pervade il suo canzoniere postumo, caratterizzato soprattutto dal tormentato rapporto con il più noto amante: Collaltino di Collalto. Tuttavia, cercheremo di liberarci della consueta lettura critica del canzoniere gasparino, quale espressione quasi diaristica e dimessa di una donna vittima di una relazione infelice, per mettere in luce l’uso accorto che la poetessa fa della tradizione lirica precedente al fine di ergersi a exemplum di fede nel Dio Amore e proporsi quale nuovo modello di costanza e forza muliebre per i posteri.

 

Follia e violenza nella novella italiana del Cinquecento

La follia è un tema caro al Cinquecento che ne sviluppa le numerose possibili declinazioni ereditate dalla filosofia classica e maturate nel corso dell’Umanesimo. La follia, sin dall’antichità, grazie alla preponderanza assegnata a questo tema nel Fedro di Platone, è stata associata al furor poetico, a quella sorta di rapimento estatico in cui l’autore si lascia attraversare dall’energia creativa, preda di un raptus. Nell’era cristiana, la pazzia, pur considerata una malattia, ha comunque trovato un esito positivo nella predicazione francescana, che ha recuperato l’immagine del giullare di Dio proposta dallo stesso San Francesco per raccontare l’amore folle per il Creatore, quell’amore che fa stimare pazzi agli occhi di chi non l’ha mai provato (come nella lauda O iubelo del core di Iacopone da Todi).

Tuttavia, nel Cinquecento a questi modelli di insania se ne aggiungono altri. Il più noto è certamente quello proposto da Erasmo, nel suo Moriae encomium, in cui la follia ha una funzione demistificatrice, svelando la corruzione e la perdizione in cui versa il cristianesimo del tempo. Un altro modello fondamentale è rappresentato dalla pazzia di Orlando, nel Furioso di Ariosto, che propone sia una follia positiva, intesa come velame, come filtro, che aiuta l’uomo a vivere il proprio tempo mantenendo una parziale inconsapevolezza, sia una follia devastante che nasce dall’impatto distruttivo tra realtà soggettiva e realtà oggettiva. Dopo un breve excursus sulla proteiforme natura della follia, è proprio sulla declinazione tragica di essa che mi soffermerei, osservando come nella novellistica del Cinquecento la pazzia si leghi spesso ai temi della beffa e della violenza. Prendendo le mosse da Le Cene (1544 circa) di Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca, sul quale ho pubblicato un recente contributo in volume in inglese (Deception and Folly in Anton Francesco Grazzini. Reflections on Le Cene and other works, 2022), e attraversando le raccolte più tarde di Giovan Battista Giraldi Cinzio (gli Hecatommithi, 1565) e di Matteo Bandello (Novelle, 1554 e 1573) osserveremo come il Rinascimento abbia sviluppato una peculiare visione della follia. Essa scaturisce dall’incapacità, da parte dell’individuo, di decodificare una realtà mutevole e ingannatrice, di inserirsi all’interno di un tessuto sociale sempre più gerarchizzato e cristallizzato, di trovare collocazione in un “mondo senza compassione” (E. Menetti, Dopo Boccaccio. Il mondo senza compassione, in Boccaccio e i suoi lettori, Bologna, 2013, pp. 289-306). L’esistenza dei personaggi, spesso a causa di beffe crudeli e sempre più complesse o di violenze materiali e psicologiche, frana verso il baratro della pazzia da cui raramente si può riprendere. L’identità individuale così frantumata e sconvolta non può più ricomporsi e il personaggio diviene estraneo alla propria comunità d’origine, giungendo a percorrere la strada dell’esilio o della morte.

 

 

 

 

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https://www.unictmagazine.unict.it/assegnata-agnese-amaduri-lermete-fellowship-delluniversita-di-stoccarda

 

Donne e Fede nel Cinquecento: la costruzione dell’identità soggettiva nel dialogo con Dio

La ricerca, che riprende un mio interesse di lungo corso sul tema, intende focalizzarsi sulla lirica petrarchista del Cinquecento composta da donne e, nello specifico, sulla funzione che la religione e il dialogo con Dio hanno avuto per la costruzione dell’identità soggettiva delle poetesse, per l’acquisizione di una maggiore consapevolezza del loro ruolo nella società e per una progressiva liberazione dall’autorità maschile grazie alla riflessione sulla “libertà” dai vincoli sociali e politici avviata in alcuni settori vicini alla Riforma ma anche all’interno di alcune congregazioni religiose femminili. Le poetesse che si vorrebbero analizzare sono: Vittoria Colonna, Gaspara Stampa e Isabella Morra.

Il periodo preso in esame consentirebbe, innanzitutto, di cogliere la profonda influenza che la diffusione della Riforma protestante (insieme a opinioni eterodosse non inquadrabili all’interno di una precisa confessione di fede) produsse sulla spiritualità femminile e sulla strutturazione di un rapporto personale e diretto con il sacro. Tale mutamento ebbe particolari ripercussioni in ambito letterario e soprattutto nella lirica. Le poetesse, facendo mostra di una peculiare propensione all’accoglienza di suggestioni eterogenee e di una spiccata capacità di manipolare le proprie fonti, riuscirono a innestare sulla tradizione petrarchista il tema del sacro, avvertito non come fatto esteriore e formale, ma come esigenza intima di recuperare un rapporto individuale con la divinità. Da ciò scaturirono scelte estravaganti rispetto alle fonti e agli antecedenti stessi.

Vittoria Colonna e Gaspara Stampa saranno il punto di partenza per la ricerca che dovrà tener presente anche la tradizione letteraria religiosa e mistica diffusa tra XIII e XV secolo in ambito europeo. Infatti, la generale fortuna incontrata dagli scritti delle numerose madri spirituali attive in Italia, in Germania, nelle Fiandre, in Francia, non consentono di prescindere da un confronto con il modello mistico.

Status quaestionis

Non esiste uno studio sistematico sull’argomento; più in generale possiamo affermare – come ha già rilevato Stefano Carrai in un suo articolo del 2006 (La lirica spirituale del Cinquecento) – che non esiste una storia della poesia spirituale italiana nel Cinquecento.
Gli studi più approfonditi riguardano certamente Vittoria Colonna. Numerosi sono i contributi che prendono in esame le sue due raccolte di liriche (le Rime amorose del 1538 e le Rime spirituali del 1546) considerandone sia la funzione di modello per le poetesse successive sia le peculiarità della sua produzione poetica e della sua fede; tra i più rappresentativi basterà in questa sede ricordare G. Rabitti, Vittoria Colonna as Role Model for Cinquecento Woman Poets, in Woman in Italian Renaissance Culture and Society, a cura di L. Panizza, Oxford, European Humanities Research Centre, 2000, pp. 478-97 e il più recente A. Brundin, Vittoria Colonna and the Spiritual Poetics of the Italian Reformation, Aldershot, Ashgate, 2008; ma anche l’articolo, si parva licet: A. Amaduri, «Ch’è Dio vero uomo e l’uomo è vero Dio». Il riscatto femminile nel rapporto con la divinità: ipotesi di lettura intorno alle rime di Vittoria Colonna (2018).

Per quanto concerne Gaspara Stampa, all’interno di una pur vasta bibliografia, mancano lavori specifici sulla sua spiritualità e sulla presenza del sacro nelle sue opere, eccetto l’articolo di J. Vitiello del 1975 (Gaspara Stampa: The Ambiguities of Martyrdom), che si focalizza soprattutto su un paio di sonetti della poetessa padovana. Un primo abbozzo di questa ricerca è presente nel volume: A. Amaduri Gaspara Stampa (2014). Sulle rime di Isabella Morra, al contributo Le rime religiose di Isabella Morra di Tateo del 1981, ma presentato al Convegno Isabella Morra e la Basilicata tenutosi nel maggio del 1975, non sono seguiti studi focalizzati sugli aspetti religiosi della esigua produzione della poetessa di Valsinni; anche in questo caso, un contributo è rappresentato da: A. Amaduri, La rappresentazione femminile della divinità: su una canzone di Isabella Morra (2017).

Mentre all’interno di un discorso complessivo sulla scrittura femminile tra XV e XVII secolo si inquadra il pregevole lavoro di Virginia Cox (Women’s writing in Italy: 1400-1650, 2008) che pure non concede spazio specifico alla sfera spirituale
Risultati attesi e implicazioni

La religione è elemento basilare per la costituzione dell’identità culturale dei popoli e degli individui. Partendo da questo assunto è chiaro quanto essa sia rilevante per lo studio dell’identità delle donne, soprattutto nel Rinascimento, che ha visto esplodere il fenomeno della scrittura femminile.
Questa ricerca vorrebbe aggiungere alle considerazioni, fondamentali, sull’identità e la dignità della donna portata avanti dai gender studies, una inedita riflessione sulla spiritualità femminile, che illumina il dato più personale e, forse, complesso e combattuto della soggettività. È anche nel rapporto con il divino, e nella rappresentazione di esso affidata ai versi, che le poetesse misurarono sé stesse e costruirono la propria personalità pubblica e privata; e fu sul difficile terreno dell’eterodossia o dell’ortodossia religiosa che, nel Cinquecento, esse spesso misero in gioco le proprie esistenze. Un rapporto con il divino che mostra nei testi delle donne caratteri peculiari: una tensione verso il trascendete che non vuole e non può negare la

corporeità e l’immanente, una capacità di rappresentare il sacro nella quotidianità ma anche di esperirlo attraverso i sensi, una volontà di conciliare gli affetti terreni e l’amore divino rifiutando il concetto maschile di ascesi come astrazione dal mondo. Sono questi gli elementi che emergono nei testi poetici, già solo grazie a un’analisi parziale e frammentaria, e che questa ricerca si propone di verificare e far emergere

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